Grand Palais 2.0
In occasione delle prossime Olimpiadi parigine riapre parzialmente, dopo i primi interventi di restauro, il Grand Palais.
Il Grand Palais è pronto! O quasi. Molti dei cantieri intrapresi a Parigi in vista dei Giochi Olimpici dell’estate 2024 sono in ritardo, ma almeno il restauro-ristrutturazione di questa opera maggiore dell’architettura di ferro e vetro di fine Ottocento è avanzato abbastanza da permetterne la riapertura parziale, in tempo per accogliere le competizioni di scherma e di taekwondo, oltre che per stupire i più di 15 milioni di visitatori attesi in città tra il 26 luglio e l’11 agosto. L’ultima fase del cantiere si svolgerà dopo i giochi, fino all’inaugurazione finale prevista per il 2025.
Il percorso è stato piuttosto accidentato. È cominciato con il concorso internazionale del 2014, vinto da LAN Architecture con un progetto decisamente ambizioso. Lo studio franco-italiano, tra i più interessanti del panorama parigino contemporaneo, aveva proposto trasformazioni profonde al monumento, per farne una “machine à culture”, una “macchina della cultura” – evidente citazione della definizione della casa come “machine à habiter” (“macchina da abitare”) formulata negli anni Venti da Le Corbusier. Dopo anni di attesa e di polemiche, soprattutto di chi temeva che l’edificio ne risultasse denaturato, nel 2020 Roselyne Bachelot, Ministra della Cultura, annuncia l’abbandono del progetto e la riallocazione della stessa quantità di fondi, più di 450 milioni di euro, per un intervento più delicato di restauro conservativo, completato dalla ristrutturazione e dall’adattamento di alcuni ambienti alle esigenze di uno spazio d’esposizione contemporaneo. «Si ferma il cantiere del Grand Palais, giudicato troppo faraonico», titola Le Monde il 27 settembre di quell’anno.
Entra in gioco in questa fase lo studio Chatillon Architectes di François Chatillon, architecte en chef des monuments historiques, letteralmente “architetto responsabile dei monumenti storici”, un titolo squisitamente francese che identifica i progettisti che lavorano sulle architetture vincolate per conto e sotto il controllo diretto del Ministero della Cultura. Cambiano radicalmente lo spirito e gli obiettivi del progetto, ma non la retorica eroica con cui viene presentato: dalla trasformazione in un’architettura contemporanea che «servirà più che mai a promuovere la Francia e i suoi talenti nel mondo» (dal comunicato stampa di LAN del 2018) a un restauro esemplare di «un’espressione del genio francese del 1900» che «permetta di riscoprirne i fasti antichi» (Le Monde, 30 aprile 2024).
Il paesaggio urbano di Parigi è punteggiato delle architetture realizzate in occasione delle tante Esposizioni Universali che si sono svolte in città: la Torre Eiffel, simbolo della capitale francese – o forse di tutta la Francia, e al limite dell’intero continente europeo – è l'eredità dell’evento del 1889, mentre il Palais de Chaillot, che la fronteggia sul lato opposto della Senna, fu costruito per quello del 1939. L’Esposizione Universale del 1900, invece, lasciò alla città molte novità infrastrutturali – per esempio le Gare de Lyon, la Gare d’Orsay e il Pont Alexandre III, e i padiglioni monumentali del Petit Palais e del Grand Palais. Quest’ultimo è l’opera congiunta degli architetti Henri Deglane, Louis-Albert Louvet, Albert Thomas et Charles Girault, riuniti in un solo team dopo aver partecipato separatamente al concorso del 1896.
Girault coordina gli altri tre, a ciascuno dei quali è affidata una porzione di questa architettura tripartita. Da ovest verso est, quindi dall’Avenue Roosevelt all’Avenue Churchill, si allineano il Palais d’Antin, che nel 1939 diventa il Palais de la découverte (Palazzo della scoperta), un corpo intermedio costituito dal Salone d’onore e dalle gallerie che lo delimitano a nord e a sud, e infine la Nef (Navata). Quest’ultima è lo spazio e la struttura più spettacolare, ma anche più rappresentativa delle sperimentazioni dell’epoca sulle impalcature metalliche: 240 metri di lunghezza, 13.500 metri quadri di superficie ininterrotta, illuminata da una copertura in vetro con sezione ad arco ribassato, che tocca i 45 metri nel suo punto più alto. La facciata sull’Avenue Churchill, scandita da colonne corinzie e decorata di un ricco apparato scultoreo, è un involucro del tutto tradizionale che maschera l’innovazione e l’audacia dello spazio interno, secondo una dicotomia tipica di quegli anni – la si riconosce per esempio nella maggior parte delle stazioni ferroviarie coeve delle grandi città europee, da Londra a Copenaghen ad Anversa. Così, per il Grand Palais sono utilizzate in totale 6 mila tonnellate d’acciaio, ma anche 200 mila tonnellate di pietra.
Nel corso del XX secolo, il Grand Palais resta un tassello cruciale nel sistema degli spazi espositivi di Parigi, incrocia i grandi avvenimenti della storia dell’arte francese e mondiale, si costruisce su sé stesso e scampa più volte allo spettro di una sua distruzione totale. Si tiene qui il Salon d’automne (Salone d’autunno) del 1905, dove fanno scandalo le cromie non ortodosse di Braque, Derain e Matisse e che passerà alla storia come la “cage aux fauves” (letteralmente la “gabbia degli animali selvatici”). Quasi un secolo dopo, tra il 2007 e il 2016 la Navata ospita le sette edizioni di Monumenta, manifestazione di grandissimo successo che chiama diversi artisti di provenienza e fama internazionale a dialogare con il suo spazio immenso: per esempio Richard Serra, nel 2008, vi installa le gigantesche pareti di andamento organico di Promenade, mentre nel 2010 il fulcro di Personnes di Christian Boltanski è una montagna di vestiti perfettamente conica, da cui un braccio meccanico solleva e lascia ricadere ritmicamente lembi di tessuto.
Nel corso dei decenni il Grand Palais si aggiorna per restare efficiente e competitivo – i lavori più sostanziali sono condotti negli anni Sessanta dall’architecte en chef des monuments historiques Pierre Vivien – rischia di sprofondare nel suolo cedevole del lungosenna e viene salvato in extremis dal consolidamento delle sue fondamenta, e ancora brucia in parte nel 1945, proprio mentre Parigi festeggia la Liberazione. Sempre negli anni Sessanta, il più intraprendente e controverso Ministro della cultura della storia francese recente, André Malraux, ne prevede la demolizione e incarica Le Corbusier di progettare il modernissimo museo che l’avrebbe rimpiazzato. Tra il 1975 e il 2005 si moltiplicano, fortunatamente, i vincoli per la sua conservazione, che riguardano prima solo la Navata e poi si estendono progressivamente a tutto il complesso. Nel frattempo, però, le sue condizioni di conservazione peggiorano, in un progressivo degrado che è contrastato solo da interventi puntuali e non globali – per esempio il restauro delle facciate tra il 2005 e il 2008.
Al contrario, il percorso di rinnovamento intrapreso dal 2021 sotto la guida di Chatillon agisce finalmente sull’insieme degli esterni, degli interni e delle strutture del Grand Palais. Propone un processo di riscoperta, di sottrazione delle aggiunte posticce, di cura e conservazione di tutte le parti e le componenti monumentali, oltre che di riorganizzazione e ottimizzazione degli spazi di accoglienza al pubblico e di servizio. Nelle parole degli architetti: «Il grande progetto di restauro e valorizzazione del Grand Palais permetterà ai visitatori di riscoprire la bellezza della sua architettura, ritrovando la coerenza della sua composizione, la generosità degli spazi, la luce naturale, la fluidità della circolazione, nell’ambito di un funzionamento e di un allestimento contemporaneo». Una dichiarazione ambiziosa, di cui siamo impazienti di verificare la validità e la riuscita tra poche settimane, nell’agitazione della Parigi olimpica estiva.
Categoria: Architettura & Design
Titolo: Grand Palais 2.0
Autore: Alessandro Benetti