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La parabola delle Spa

Dall’antica Roma alle big corporation contemporanee: nel volume Profitto William Magnuson analizza l’evoluzione delle Società per azioni.

I loro fondatori e CEO hanno accumulato ricchezze e fama e sono diventati i più ricchi miliardari del pianeta. E ora, per le big tech americane – le grandi corporation della tecnologia made in USA, da Amazon a Microsoft – il 2025 potrebbe rivelarsi un anno cruciale per almeno due ragioni. È possibile che il “poliziotto” che vigila sulla concorrenza, l’Antitrust, dia l’ordine a Google (Alphabet) di dividersi, di fare quello che in gergo viene definito uno spezzatino societario, per togliere dal mercato una presenza dominante e troppo ingombrante. La scure dell’Antitrust poi, per la precisione, potrebbe colpire anche Meta (Facebook, Instagram e Whatsapp), Amazon e Apple, ma in tempi più lunghi. In secondo luogo, con l'insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, prende corpo una delle più grande simbiosi tra Stato e colossi industriali, nello specifico il gruppo di Elon Musk (Tesla, X, SpaceX, Starlink, Neuralink) che si ricordi nella storia del mondo capitalista. E quindi delle società per azioni, che ne incorporano i principi fondamentali.

Gli intrecci tra grandi aziende e Stato sono del resto floridi e complicati da oltre duemila anni. Cioè da quando esistono le grandi corporation: lo racconta in modo avvincente William Magnuson, che insegna diritto d’impresa alla Texas A&M School of Law, nel libro Profitto, uscito per il Saggiatore.

La storia può essere letta, come sappiamo, attraverso le idee, le battaglie, i confini, la vita quotidiana o le rivoluzioni. E anche attraverso l’orizzonte multiforme e variabile delle grandi imprese. Che sono state, sono e saranno tra le protagoniste principali degli accadimenti economici e sociali. Magnuson fa partire il loro percorso da una data inaspettata anche per gli esperti di microeconomia: il 215 a.C.. E forse sorprende ancora più la circostanza che porta alla luce la presenza e il ruolo di una corporation ante litteram: la guerra tra Roma e Cartagine, lo scontro tra le grandi potenze del Mediterraneo per il controllo di ampie parti di Europa, Africa e Asia.

Qui entrano in gioco le proto-Spa. Le cose si stanno mettendo male per la Repubblica romana, anche sotto il profilo finanziario: le casse sono vuote e non è più possibile garantire ai soldati paga e cibo, mancano i soldi per i rifornimenti e si profila una sconfitta. Il Senato decide di lanciare un appello ai cittadini. A rispondere sono tre aziende (in latino societates) composte da 19 uomini, che accettano di fornire quanto richiesto: dai capitali alle granaglie, dai vestiti alle navi e ai marinai. A loro viene affidato l’appalto e l’intervento cambia il corso della guerra. Ma questo è solo l’inizio, perché le societates publicanorum – le società dei publicani, appaltatori che gestiscono per conto dello Stato diverse attività pubbliche, dalla riscossione delle imposte alla costruzione di ponti e strade – diventano importanti protagonisti della vita economica, ma anche politica, della Repubblica. Che, invece di costruire un’adeguata amministrazione, preferisce affidarla a queste corporation di privati cittadini. Le societates publicanorum sono divise in azioni (partes) che possono essere negoziate e sviluppano, con la separazione tra proprietà e gestione, una classe manageriale. Il processo di delega in appalto porta con sé vantaggi di efficienza, anche in termini militari, ma in modo crescente sviluppa collusioni e corruzione. Le societates sono molto influenti e talmente intrecciate con lo Stato da spingerlo a nuove conquiste per i loro fini privati. Un cortocircuito che mette in forse le basi stesse della Repubblica. E con l’impero, che realizza un’imponente riforma dell’apparato statale, le societates perdono potere, influenza, ruolo e finiscono per diventare irrilevanti.

Nel libro la narrazione è scandita in otto capitoli, ognuno dei quali dedicato a una singola corporation che in sé ha rappresentato un salto evolutivo. Si passa così al Banco Medici, fondato poco prima del 1400 da Giovanni de’ Medici, che con abilità aggira il divieto di usura e diventa il banchiere della Chiesa e di vari regnanti in Europa, grazie a una rete internazionale di filiali che fanno riferimento a una specie di holding. Ma il vero salto verso le Spa ha luogo grazie alla Compagnia delle Indie Orientali, fondata circa 200 anni dopo da un gruppo di mercanti per aprire o sottrarre ai concorrenti floride rotte commerciali. La Compagnia cresce fino a diventare un’azienda-Stato, in grado di promuovere guerre e confrontarsi con la monarchia inglese più da partner che da suddito. Sono le sue azioni a determinare l’andamento dell’emergente Borsa londinese, e sono i suoi affari e i suoi scandali a ispirare gli scritti di Adam Smith – molto critico verso la Compagnia – Karl Marx e perfino di Napoleone.

A compiere il salto verso il monopolio è poi la Union Pacific, la compagnia ferroviaria incaricata negli anni Sessanta dell’800 di unire gli Stati Uniti da costa a costa con una rete di binari lunga oltre 3 mila chilometri. Con la Ford l’industria inaugura la produzione (e i consumi) di massa, la catena di montaggio, il “modello T” e tutto ciò che ha significato il Fordismo in termini di organizzazione del lavoro, rapporti con i sindacati, sviluppo economico e sociale per gli Stati Uniti. Il racconto prosegue con la Exxon, che avvia la grande stagione delle multinazionali, motori determinanti della globalizzazione; la Kkr, che ha fatto partire la corsa inarrestabile dei fondi di private equity, che oggi sono azionisti primari e influenti in 28 mila aziende nel mondo, valutate intorno a 3.200 miliardi di dollari; infine è Meta (Facebook) a rappresentare le startup tecnologiche – passate in poco tempo dalle dimensioni di garage, sottoscala o appartamenti a quelle di Unicorni (le aziende valutate oltre un miliardo di dollari, ma non quotate) – e i colossi tech che oggi capitalizzano circa 3 mila miliardi come Apple e Microsoft, o oltre 2 mila come Amazon, Google, o la stessa Meta-Facebook.

C’è un filo rosso che unisce tutte le storie. O meglio i fili sono tre. Un percorso comune ha inizio con l’obiettivo primario: le grandi aziende, sottolinea Magnuson, vengono costituite per produrre il bene comune. Sono società pubbliche che producono opere pubbliche altrimenti irrealizzabili, grazie al fatto di unire capitali, risorse umane e materiali, organizzazioni e architetture complesse. In sintesi la storia delle grandi aziende ci ricorda una semplice verità: l’umanità lavora meglio quando lavora unita. Il secondo filo rosso è rappresentato dagli intrecci con lo Stato. Un’attitudine radicata da sempre e difficile da cancellare. E che resta dominante anche oggi, nonostante le corporation siano più grandi di singoli Stati e possano anche scegliere quale legame e governo sia per loro più conveniente: in genere le opzioni ritenute migliori sono quelle che lasciano più libertà, dalle regole e dal fisco. Ma contano anche le risorse che vengono messe a loro disposizione attraverso investimenti pubblici in ricerca o nelle infrastrutture. La competizione tra gli Stati per assicurarsi la presenza delle multinazionali ha innescato vere gare, a tutto vantaggio delle corporation. Gli stretti legami tra imprese e cosa pubblica hanno anche piegato il fine generale a quello privato: con il tempo, secondo Magnuson, si è perso di vista l’autentico spirito dell’azienda privata, con la promozione della ricerca del profitto da mezzo a fine e con l’inversione della priorità tra efficienza e moralità del mercato. Il terzo filo riguarda un altro componente, ovvero il dna delle corporation: la separazione tra gestione e azionisti. Quest’ultima porta con sé il “dilemma” della sostenibilità: è più virtuoso privilegiare profitti e dividendi nel breve periodo oppure pensare a lungo termine investendo e moderando se necessario l’utile immediato e la remunerazione dei soci? Se l’obiettivo è la virtù ci sono pochi dubbi, diversamente la situazione diventa ben più controversa, con il rischio sottostante che convergano i fini di manager e soci a favore di benefici immediati, con una sottrazione di risorse per il futuro.

Magnuson propone dunque alcuni “correttivi”, una serie di principi per “aggiustare” le corporation, facendo leva sulla buona volontà di azionisti, manager e regolatori. Uno di questi è “non prendersi tutta la torta per sé”. Resisteranno alla tentazione i dieci manager-imprenditori-azionisti più ricchi del mondo (da Musk a Jensen Huang), che hanno oggi in cassaforte un patrimonio complessivo di quasi 2 mila miliardi di dollari? Un consiglio alla moderazione potrebbe arrivare dal passato lontano: Annibale fu sconfitto e i publicani fecero la storia. Con qualche freno in più alla propria avidità, la loro storia sarebbe forse durata anche più a lungo.

Categoria: Cultura
Titolo: La parabola delle Spa
Autore: Sergio Bocconi